الجمعة، 10 مايو 2024

Download PDF | John Julius Norwich, I Normanni Nel Sud ( 1016 -1194). Il Regno Nel Sole. Vol.1-2 Mursia ( 1972).

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Vol 1 : 504

Vol 2 : 405




INTRODUZIONE

Nell’ottobre del 1961 mia moglie ed io ci recammo a trascorrere un periodo di vacanze in Sicilia. Sapevo vagamente che i normanni vi avevano regnato per un certo periodo nel Medioevo, ma niente di pitt, Ad ogni modo una cosa é certa: ero assolutamente impreparato a tutto cid che vidi. Vi ho infatti trovato cattedrali, chiese, palazzi che sembrano riunire, senza sforzo né tensione, quanto di pit bello vi é@ nell’arte e nell’architettura delle tre grandi civilta di quell’epoca — la nord-europea, la bizantina e la saracena. Qui, al centro del Mediterraneo, si trovava il ponte che riuniva Nord e Sud, Est ed Ovest, latini, teutoni, cristiani e musulmani; magnifica, inconfutabile testimonianza di un’era di illuminata tolleranza, ignota ovunque nell’Europa medioevale e raramente uguagliata nei secoli che seguirono. Mi entusiasmai e fui preso dal vivo desiderio di saperne di piti. Terminate le vacanze, ricorsi alla soluzione pit sensata: mi diressi alla London Library.




























Li mi attendeva un’amara delusione. Poche opere, per lo pitt francesi o tedesche, scaturite dalle formidabili penne di eruditi del secolo decimonono, di una monotonia paralizzante, si allineavano seminascoste in uno degli scaffali superiori, ma non vi era assolutamente nulla che potesse soddisfare il lettore comune in cerca di una semplice cronistoria dei normanni in Sicilia. Per un momento mi sono chiesto se la pitt prestigiosa e la pit fidata delle istituzioni inglesi non mi avesse questa volta tradito, ma al tempo stesso ero sicurissimo che questo non poteva essere. Se la London Library non possedeva il tipo di libro che io cercavo, significava che tale libro non esisteva. E fu cosi che mi trovai di fronte ad un problema che, trascorsi cinque anni, ancora mi lascia perplesso: com’é possibile che una delle vicende epiche pit straordinarie ed affascinanti che si siano verificate nella storia europea tra l’epoca di Giulio Cesare e quella di Napoleone sia in genere tanto poco conosciuta. Persino in Francia qualsiasi riferimento all’argomento spesso viene accolto da un’espressione vaga e da un silenzio imbarazzato; mentre in Inghilterra, che dopo tutto subi quasi nello stesso periodo una conquista normanna — sebbene di gran lunga meno emozionante e che in seguito avrebbe dato alla Sicilia vari uomini di Stato e una regina, tale riferimento provoca uno smarrimento ancor pitt generale. 



















Ferdinand Chalandon, autore di un libro su quel periodo che ancora fa testo, nella sua monumentale bibliografia di oltre seicento voci, menziona un solo autore inglese: Gibbon; e benché nei sessant’anni trascorsi da allora un certo numero di studiosi inglesi, tra i quali primeggia brillantemente Evelyn Jamison, abbiano diboscato molte impervie zone di questo periodo storico piantando la loro bandiera negli angoli pitt reconditi di questa oscura foresta, fino ad ora sono a conoscenza di due sole opere inglesi non specializzate che narrano la vicenda con una certa dovizia di particolari: Roger of Sicily di E. Curtis, lavoro coscienzioso anche se di stile un po’ pesante, scritto alla vigilia della prima guerra mondiale e The Greatest Norman Conquest - ecco un titolo che é tutto un programma ~ di John Van Wyck Osborne, le cui riflessive capacita di studioso vengono di continuo soffocate da una esuberante immaginazione. Questi due libri furono pubblicati a New York e sono da tempo esauriti, ma né Vuno né Valtro trattano per intero il periodo che interessa.























La conclusione era quindi inevitabile: se volevo una storia completa della Sicilia normanna per il lettore medio, avrei dovuto scriverla da me, ed é cosi che ora presento, con una certa titubanza e molta diffidenza, il primo dei due volumi che narrano questa vicenda a partire da quel lontano giorno del 1016, quando un gruppo di pellegrini normanni venne avvicinato da un nobile longobardo nella cappella di S. Michele Arcangelo sul Monte Gargano, fino al giorno in cui, centosettantotto anni dopo, la pitt fulgida corona del Mediterraneo passé ad uno dei pitt truculenti imperatori germanici. Questo volume narra i primi centoquattordici anni di questo periodo fino al giorno di Natale del 1130, quando la Sicilia si trasformd finalmente in regno e Ruggero II ne divenne re. 

























Questi sono gli anni epici della lotta e della conquista, dominati dalle figure dei figli e dei nipoti di Tancredi d’Altavilla ed in particolare dal torreggiante Roberto il Guiscardo, uno dei pochi avventurieri militari di genio che, sorti dal nulla, morirono senza conoscere sconfitte. In seguito il clima muta: la durezza nordica si addolcisce al sole, il fragore delle armi si smorza lentamente per far posto al mormorio delle fontane sotto i portici ombrosi ed alla melodia delle corde pizzicate. Cosi il secondo volume parlerd dell’eta d’oro della Sicilia normanna; dei tempi di Cefalu, di Monreale, della Cappella Palatina a Palermo e poi, con tristezza, del declino e del crollo. E vero che lo spirito sarebbe sopravvissuto per un altro mezzo secolo ancora nell’animo di Federico I, Stupor Mundi, il pid grande principe rinascimentale che precorse di due secoli i suoi tempi, e in Manfredi, suo figlio; ma Federico, pur essendo un Altavilla per parte di madre e per educazione, era anche un Hohenstaufen e, per di pitt, un imperatore. La sua é una storia gloriosa e tragica, ma non sta a noi narrarla.

















Questo libro non ha pretese scientifiche. A parte tutto, io non sono uno studioso. Nonostante otto anni di quella che, con ottimismo, si usa definire istruzione classica ed un recente faticoso corso di aggiornamento, la mia conoscenza del latino zoppica e quella del greco ancor di pitt. Benché troppo spesso abbia dovuto inoltrarmi a fatica tra i meandri delle fonti originali, ogni volta che mi é stato possibile mi sono avvalso ben volentieri di traduzioni, annotandole con cura nella bibliografia; e benché abbia cercato di documentarmi il pit possibile sull’argomento, per inserire il racconto nel quadro generale della storia europea, non pretendo di aver reperito materiale nuovo, né di essere giunto a strabilianti conclusioni originali. Questo vale anche per le ricerche da me fatte sul posto. Credo di aver visitato ogni luogo importante di cui si parla in questo volume (in condizioni climatiche indicibilmente difficili), mentre le ricerche nelle biblioteche e negli archivi locali sono state limitate e -— fuorché nella Biblioteca Vaticana — poco fruttuose. Non importa, Il mio intento, come ho gia spiegato, era di presentare al lettore medio un tipo di libro che io stesso avrei voluto leggere in occasione della mia prima visita in Sicilia — un libro che spiegasse, in primo luogo, come vi giunsero i normanni e come poi l’avessero trasformata e fossero riusciti ad impregnarla di una cultura al tempo stesso tanto bella e unica nel suo genere. Mentre mi fermo ora per riprendere fiato, il mio unico rimpianto é di non aver saputo render loro maggior giustizia.


















Tra i molti amici in Italia che mi hanno consigliato ed aiutato nella stesura di questo libro desidero ringraziare in particolare il dottor Milton Gendel e sua moglie per la loro ospitalita e per aver messo liberalmente a mia disposizione le loro conoscenze storiche; la signorina Georgina Masson, la cui profonda conoscenza dell’Italia medioevale e i cui molti consigli bibliografici mi sono stati preziosi; la duchessa Elena Lante Rospigliosi per le utilissime ricerche da lei fatte e per aver voluto curare la traduzione italiana dell’opera; don Angelo Mifsud, archivista della Badia della Cava, Salerno; il conte dottor Sigmund Fago Golfarelli, capo del Servizio Stampa dell’Ente Nazionale Italiano per il Turismo; il compianto padre Guy Ferrari, la cui prematura scomparsa é stata una grave perdita per la Biblioteca Vaticana e per tutti gli studiosi che la frequentano.

















In Inghilterra la mia riconoscenza va in special modo al dottor Jonathan Riley-Smith, la cui bonta e la cui erudizione mi hanno impedito di cadere in molte inesattezze. Sir Steven Runciman, Sacheverell Sitwell e i loro editori, la Clarendon Press e la Gerald Duckworth & Co., Ltd, mi hanno cortesemente permesso di avvalermi di citazioni dalle loro opere; la professoressa Lancy Lambton della London University si @ prodigata in tutti i modi per rintracciare il poema di Iqbal da cui é tratta l’epigrafe per il capitolo XIII. I miei ringraziamenti vanno pure al signor C. R. Ligota del Warburg Institute ed a molti, purtroppo anonimi, membri del personale della Bibliothéque Nationale di Parigi.


















Ma la mia pitt profonda gratitudine spetta a mio cugino, Rupert Hart-Davis. Nessuno meglio di lui sa come va scritto un libro: nessun altro avrebbe potuto mettere altrettanto generosamente a mia disposizione il suo tempo, la sua esperienza e la sua saggezza. Il mio debito verso di lui é enorme ed é condiviso dai miei lettori pitt di quanto essi possano immaginare, poiché se questo libro é in qualche modo piacevole a leggersi cid 2 dovuto in gran parte a lui. Questo debito pud essere riconosciuto ma mai ripagato.






















Praticamente ogni parola di quanto segue 2 stata scritta nella sala di lettura della London Library; mi rimane solo da riecheggiare le parole proferite da migliaia di autori che mi hanno preceduto: senza le inesauribili risorse della Library alle quali si sono aggiunte la pazienza, la comprensione e la serenita di ogni membro del personale, non vedo proprio come mi sarebbe stato possibile portare a compimento questa mia opera.


J.J.N.
















INTRODUZIONE Vol 2

Poco pitt di sessant’anni orsono, Ferdinand Chalandon nella prefazione alla propria Histoire de la Domination Normande en Italie et en Sicile (e Chalandon non é certo uno scrittore incline a drammatizzare) faceva notare come a tutti coloro che avevano iniziato a trattare questo argomento fosse stato riservato un destino infelice. Egli faceva il nome di tre autori che, come ebbe delicatamente ad esprimersi, erano « prematuramente spariti» prima di aver portato a termine la loro opera. Nel 1963, per uno scrittore che si accingeva a intraprendere la sua prima importante avventura letteraria scegliendo proprio questo soggetto, e che gid aveva la sensazione di aver abbracciato pitt di quanto potesse stringere, i fatti citati da Chalandon non erano certo un ricordo incoraggiante. Vi sono state parecchie occasioni, nel corso di questi ultimi sette anni, nelle quali mi é sembrato quasi impossibile portare a termine Vimpresa, Ed ora, é soprattutto con sorpresa che mi rendo conto d’essere giunto alla fine della storia che avevo cominciato a narrare.































Questo secondo volume della saga degli Altavilla é a sé stante, nel senso che presume che il lettore non abbia letto il primo, o lo abbia dimenticato. Tuttavia, riprende la narrazione dal punto in cui venne interrotta ne | normanni nel Sud, 1016-1130 e cioé dall’incoronazione di re Ruggero nella cattedrale di Palermo, nel giorno di Natale del 1130, e la prosegue fino a quell’altro e pitt tetro giorno di Natale in cui la pitt fulgida corona d’Europa venne posta da un arcivescovo inglese sul capo di uno dei piti odiosi imperatori germanici. I sessantaquattro anni che separano questi due avvenimenti sono un lasso di tempo ancor pitt breve di quanto ci sia dato sperare per la nostra stessa vita, ma costituiscono l’intera durata del regno. Nel corso di questi anni l’isola conobbe il periodo del maggior splendore quando, per la prima e unica volta nella storia, le tre grandi entita razziali e religiose del litorale mediterraneo si fusero, sotto il sole del Meridione, in quel meraviglioso gioiello dalle infinite sfaccettature che fu la cultura siculo-normanna.



















Sono, o per lo meno dovrebbero essere, soprattutto i monumenti superstiti di questa cultura, che oggi ci dovrebbero attirare verso la Sicilia, monumenti che traducono, quasi miracolosamente, le realizzazioni politiche degli Altavilla in termini visivi e nei quali gli stili e le tecniche dell’Europa occidentale, di Bisanzio e delU'Islam si amalgamano senza sforzo in uno scenario di meravigliosa ricchezza che lascia abbagliato e incredulo lo spettatore. Ho cercato di fare del mio meglio perché questo volume fosse non solo una storia di persone e di avvenimenti, ma anche una guida ai monumenti della Sicilia normanna. I pitt importanti li ho descritti particolareggiatamente, non in un capitolo a parte, arido e pesante, ma nel corso della narrazione cosi da legarli il pitt possibile ai loro fondatori, o alle circostanze che li videro sorgere. Gli altri, classificati secondo il sistema tradizionale degli asterischi e accompagnati dal riferimento alle pagine nelle quali son menzionati ovunque cid josse necessario, li ho relegati in un elenco incluso nell’Appendice. Questo elenco, mi lusinga pensarlo, @ comprensivo di tutte le vestigia di opere normanne degne di menzione, oggi esistenti in Sicilia.

















Ma la storia del regno di Ruggero é qualcosa di pit di un semplice sfondo per le opere d’arte in esso racchiuse, per quanto insigni possano essere. Essa rappresenta una delle tragedie d’Europa. Se il regno fosse durato piti a lungo, o se fosse riuscito a conservare quei principi di tolleranza e di comprensione ai quali dovette la propria esistenza, e se avesse continuato ad essere in un’eta oscura e bigotta un centro di illuminata cultura dal quale si dipartivano verso tre continenti il sapere e la scienza, a noi sarebbero state forse risparmiate molte di quelle sofferenze che ci hanno afflitto nei secoli che seguirono e la Sicilia avrebbe potuto essere la pitt felice, anziché la pitt disgraziata delle isole del Mediterraneo. Ma il regno non duro e in questo volume sono stato costretto a narrare non solo come fiori e prosperé, ma anche come falli e si disintegro.




















Vi é un altro aspetto che avevo gid sottolineato nell’introduzione al volume precedente, sul quale mi sembra doveroso insistere anche qui: quest’opera non ha nessuna pretesa scientifica. Quando V’iniziai, non sapevo nulla di pit della Sicilia o del Medioevo, di quanto é noto a tutti. Ora che l’ho terminata non ho intenzione di scrivere altro su questi argomenti. Il libro é semplicemente un breve reportage storico, scritto per il vasto pubblico non da un esperto, ma da chi, nell’accingersi a questo compito, poteva vantare i soli titoli della curiosita e dell’entusiasmo. Oggi presento il mio lavoro con le stesse speranze che nutrivo quando lo incominciai: che le emozioni da me provate possano essere condivise da altri e che suscitino in altri, come hanno suscitato in me, Vamore e il rimpianto per quel triste, meraviglioso e quasi dimenticato regno, la cui gloria si fece pitt splendente al tramonto.
























Gran parte del capitolo II di questo volume fu scritto durante due settimane del mese di giugno del 1967 quando la guerra scoppiata nel Medio Oriente mi bloccd, per Io piti per colpa della mia inettitudine, nell’ambasciata di Gran Bretagna a Khartum; vorrei ringraziare sir Robert e lady Fowler per la grande cortesia da loro mostrata ad un ospite non invitato, inatteso e praticamente sconosciuto in un momento che era anche per loro particolarmente difficile, Altri ringraziamenti volano verso la Linguadoca dove Xan e Daphne Fielding mi sono stati di cosi valido aiuto nella stesura del capitolo XVI. Tutti gli altri capitoli sono venuti alla luce nella London Library, del cui arredamento si pud dire che ormai faccio anch’io parte. A Stanley Gillam, Douglas Matthews e a tutto il personale, specialmente a coloro che in continuazione venivano ad avvertirmi che ero stato chiamato al telefono, vanno i sentimenti della mia illimitata gratitudine.
















Il dottor N.P. Brooks del St. Salvator’s College, St. Andrews, leggendo il dattiloscritto, mi ha consentito di non incorrere in diversi errori e mi ha fornito preziosi suggerimenti. Mi sono avvalso di molti di questi suggerimenti, ma sono altrettanto grato per quelli dei quali non mi sono servito. Il mio amico, John Parker dell’Universita di York, oltre al sostanziale contributo elencato nella bibliografia, ha risolto il problema di Dimitritza. Ho contratto pure un grosso debito di riconoscenza verso Barbarina Daudy la cui straordinaria predisposizione per le lingue e l’eccezionale capacita di traduzione a vista mi hanno risparmiato molte settimane di lavoro, pur essendo costate a lei un numero incalcolabile di ore. Posso solo sperare che queste persone e le molte altre che mi hanno aiutato e mi hanno consigliato in tutti i campi, leggendo il risultato, non penseranno che le loro fatiche siano state del tutto sprecate.
















































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